Battima

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Battima

Irene Calzavara, Pietro Muggiolu, Claudia Vetrano
Irene Calzavara, Pietro Muggiolu, Claudia Vetrano
Irene Calzavara, Pietro Muggiolu, Claudia Vetrano
Curata da Tommaso Merz
Curata da Tommaso Merz
dal 24.01.2025 al 26.02.2025
dal 24.01.2025 al 26.02.2025
dal 24.01.2025 al 26.02.2025

La mostra trae ispirazione e fa capolino alla più che nota raccolta poetica Ossi di Seppia di Eugenio Montale. Le opere esposte, come gli ossi tornati a riva dopo una mareggiata, si presentano come testimonianze del fare artistico di un'arte giovane e emergente che, grazie alla cura di OttoFinestre, trovano una loro collocazione, un loro porto sicuro. Così i resti, le opere di un'arte giovanissima, ritornano sul bagnasciuga di uno spazio espositivo: rimanenze di un vasto panorama di un sistema arido. Sono le testimonianze di ciò che il mondo cerca di gettare in mare, di liberare dalla propria coscienza conflittuale: sono resti o reperti risospinti sulle sponde della battigia, cocci infranti e riassemblati, proiettili e rimasugli di cibo che ritornano a riva. Una restituzione che passa attraverso la lente della realtà, che riporta fratture che tentano di ricomporsi, nostalgie e violenze che non si formano in seno a un determinato evento traumatico, ma che sono esse stesse la testimonianza di una condizione che affligge tutti e che, nonostante possa sembrare tragica o frivola, resta indissolubilmente umana. I lavori non si presentano tanto come una rappresentazione o una messa in scena di un conflitto, interiore o esteriore che sia, ma come un ragionamento su una determinata condizione, che si riflette e riverbera attraverso il lavoro dei tre artisti: Irene Calzavara, Pietro Muggiolu e Claudia Vetrano. Non è fondamentale comprendere se queste opere siano state pensate per trasmettere un messaggio preciso e puntuale, ciò che conta è il significato complessivo che emerge, un dialogo tra lavori che trascende medium e contesto, che permea e connette le opere, dimostrando come l'arte giovane ed emergente possa percepire il mondo in modo sia unico che condiviso. Nonostante le differenze, le opere riflettono una condizione nella quale l'arte e il panorama contemporaneo riversano, caratterizzata dall'attenzione per la fragilità, la precarietà, dalla nostalgia e dall'incertezza. Tornano come ossi di seppia queste opere, ma al contrario dei primi, le seconde non si leggono come condizioni di vita impoverite, ma come testimonianze del mare magnum contemporaneo, come ricettacoli di vita vissuta, quali oggetti che si identificano con il vivere stesso, lontano o vicino che sia, in contrasto con il degrado e la precarietà del mondo a noi circoscritto; una realtà che, come gli ossi in poesia, torna a riva e mostra un'autenticità profonda alla quale si può giungere solamente tramite uno sforzo di comprensione. Le opere non concedono parola, piuttosto palesano ciò che non sono, ciò che non vogliono, in un dialogo silenzioso che troppo spesso si consuma in sordina tramite il frangersi dell'onda e nello sciogliersi in spuma di mare.

La mostra trae ispirazione e fa capolino alla più che nota raccolta poetica Ossi di Seppia di Eugenio Montale. Le opere esposte, come gli ossi tornati a riva dopo una mareggiata, si presentano come testimonianze del fare artistico di un'arte giovane e emergente che, grazie alla cura di OttoFinestre, trovano una loro collocazione, un loro porto sicuro. Così i resti, le opere di un'arte giovanissima, ritornano sul bagnasciuga di uno spazio espositivo: rimanenze di un vasto panorama di un sistema arido. Sono le testimonianze di ciò che il mondo cerca di gettare in mare, di liberare dalla propria coscienza conflittuale: sono resti o reperti risospinti sulle sponde della battigia, cocci infranti e riassemblati, proiettili e rimasugli di cibo che ritornano a riva. Una restituzione che passa attraverso la lente della realtà, che riporta fratture che tentano di ricomporsi, nostalgie e violenze che non si formano in seno a un determinato evento traumatico, ma che sono esse stesse la testimonianza di una condizione che affligge tutti e che, nonostante possa sembrare tragica o frivola, resta indissolubilmente umana. I lavori non si presentano tanto come una rappresentazione o una messa in scena di un conflitto, interiore o esteriore che sia, ma come un ragionamento su una determinata condizione, che si riflette e riverbera attraverso il lavoro dei tre artisti: Irene Calzavara, Pietro Muggiolu e Claudia Vetrano. Non è fondamentale comprendere se queste opere siano state pensate per trasmettere un messaggio preciso e puntuale, ciò che conta è il significato complessivo che emerge, un dialogo tra lavori che trascende medium e contesto, che permea e connette le opere, dimostrando come l'arte giovane ed emergente possa percepire il mondo in modo sia unico che condiviso. Nonostante le differenze, le opere riflettono una condizione nella quale l'arte e il panorama contemporaneo riversano, caratterizzata dall'attenzione per la fragilità, la precarietà, dalla nostalgia e dall'incertezza. Tornano come ossi di seppia queste opere, ma al contrario dei primi, le seconde non si leggono come condizioni di vita impoverite, ma come testimonianze del mare magnum contemporaneo, come ricettacoli di vita vissuta, quali oggetti che si identificano con il vivere stesso, lontano o vicino che sia, in contrasto con il degrado e la precarietà del mondo a noi circoscritto; una realtà che, come gli ossi in poesia, torna a riva e mostra un'autenticità profonda alla quale si può giungere solamente tramite uno sforzo di comprensione. Le opere non concedono parola, piuttosto palesano ciò che non sono, ciò che non vogliono, in un dialogo silenzioso che troppo spesso si consuma in sordina tramite il frangersi dell'onda e nello sciogliersi in spuma di mare.

The exhibition draws inspiration from and pays homage to the renowned poetry collection Ossi di Seppia by Eugenio Montale. The works on display, like bones washed ashore after a storm, stand as testimonies to the artistic practice of a young and emerging art scene which, thanks to the care of OttoFinestre, finds its own place, a safe harbor. These remains—the works of an art still in its infancy—return to the shoreline of an exhibition space, remnants of a vast yet barren system. They are the traces of what the world seeks to cast into the sea, to free itself from its own conflicted conscience: fragments and relics swept back onto the shore, shattered pieces reassembled, bullets and scraps of food returning with the tide. It is a restitution that passes through the lens of reality, revealing fractures that strive to mend, nostalgias and violences that do not originate from a singular traumatic event but instead testify to a condition that afflicts us all—one that, whether perceived as tragic or trivial, remains indissolubly human. These works are not so much a representation or staging of conflict—whether internal or external—but rather a meditation on a particular condition, reflected and reverberated through the work of three artists: Irene Calzavara, Pietro Muggiolu, and Claudia Vetrano. It is not essential to determine whether these pieces were created to convey a specific and precise message; what truly matters is the overarching meaning that emerges—a dialogue between the works that transcends medium and context, permeating and connecting them, demonstrating how young and emerging art can perceive the world in ways both unique and shared. Despite their differences, the works reflect a state in which contemporary art and its broader landscape find themselves—marked by an acute awareness of fragility, precariousness, nostalgia, and uncertainty. These works return like cuttlefish bones, yet unlike Montale’s, they do not signify an impoverished existence but instead serve as testimonies of the vast contemporary sea, as receptacles of lived experience—whether near or distant—in contrast with the decay and precariousness of the world around us. This reality, like the bones in poetry, resurfaces, revealing a profound authenticity that can only be grasped through an effort of understanding. The works do not grant us words; rather, they reveal what they are not, what they do not wish to be, in a silent dialogue that too often dissolves unheard—like waves breaking upon the shore, fading into seafoam.

The exhibition draws inspiration from and pays homage to the renowned poetry collection Ossi di Seppia by Eugenio Montale. The works on display, like bones washed ashore after a storm, stand as testimonies to the artistic practice of a young and emerging art scene which, thanks to the care of OttoFinestre, finds its own place, a safe harbor. These remains—the works of an art still in its infancy—return to the shoreline of an exhibition space, remnants of a vast yet barren system. They are the traces of what the world seeks to cast into the sea, to free itself from its own conflicted conscience: fragments and relics swept back onto the shore, shattered pieces reassembled, bullets and scraps of food returning with the tide. It is a restitution that passes through the lens of reality, revealing fractures that strive to mend, nostalgias and violences that do not originate from a singular traumatic event but instead testify to a condition that afflicts us all—one that, whether perceived as tragic or trivial, remains indissolubly human. These works are not so much a representation or staging of conflict—whether internal or external—but rather a meditation on a particular condition, reflected and reverberated through the work of three artists: Irene Calzavara, Pietro Muggiolu, and Claudia Vetrano. It is not essential to determine whether these pieces were created to convey a specific and precise message; what truly matters is the overarching meaning that emerges—a dialogue between the works that transcends medium and context, permeating and connecting them, demonstrating how young and emerging art can perceive the world in ways both unique and shared. Despite their differences, the works reflect a state in which contemporary art and its broader landscape find themselves—marked by an acute awareness of fragility, precariousness, nostalgia, and uncertainty. These works return like cuttlefish bones, yet unlike Montale’s, they do not signify an impoverished existence but instead serve as testimonies of the vast contemporary sea, as receptacles of lived experience—whether near or distant—in contrast with the decay and precariousness of the world around us. This reality, like the bones in poetry, resurfaces, revealing a profound authenticity that can only be grasped through an effort of understanding. The works do not grant us words; rather, they reveal what they are not, what they do not wish to be, in a silent dialogue that too often dissolves unheard—like waves breaking upon the shore, fading into seafoam.

INSTALLATION VIEW

Claudia Avetrano, installazione in ferro con proiettile in marmo
Claudia Avetrano, installazione in ferro con proiettile in marmo
Claudia Avetrano, installazione in ferro con proiettile in marmo
Claudia Avetrano, installazione in ferro con proiettile in marmo
Claudia Avetrano, proiettile in marmo
Claudia Avetrano, proiettile in marmo
Claudia Avetrano, proiettile in marmo
Claudia Avetrano, proiettile in marmo
Pietro Muggiolu, marmo e pane
Pietro Muggiolu, marmo e pane
Pietro Muggiolu, marmo e pane
Pietro Muggiolu, marmo e pane
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo
Irene Calzavara, marmo