La Camera delle Meraviglie

La Camera delle Meraviglie

La Camera delle Meraviglie

Michele Guaschino, Alessandro Albert
Michele Guaschino, Alessandro Albert
Michele Guaschino, Alessandro Albert
Curata da Valerio Consonni
Curata da Valerio Consonni
dal 16.02.2024 al 28.04.2024
dal 16.02.2024 al 28.04.2024
dal 16.02.2024 al 28.04.2024

Michele Guaschino, scultore, nel 1990 fonda a Torino lo studio Mutazioni, il primo laboratorio sul territorio piemontese ad occuparsi di effetti speciali del trucco e scultura per il mondo dello spettacolo. Realizza riproduzioni anatomiche, progetti per l’arte contemporanea, passando per l’animatronica, sculture iperrealiste. Lavora con Luca Ronconi, Arturo Brachetti, Maurizio Cozza, con aziende come L’Oreal, Ferrero, Crodino, Bottega Veneta. Alessandro Albert, fotografo torinese, inizia il suo percorso artistico fin dall’adolescenza ed impara a fotografare da autodidatta. A diciassette anni incontra Paolo Verzone con il quale dà vita a progetti fotografici comuni. Nel 2001 vince, con Verzone, il terzo premio del World Press Photo Award. Collabora con aziende come Lavazza, Ferrari, Finmeccanica, ITT e Telecom. Insegna fotografia allo IED di Milano e Torino, alla scuola Holden oltre che alla Leika Akademie. Un “mundus mirabilis” si spalanca dall’incontro fra Guaschino e Albert, dove l’inverosimiglianza è presente e credibile. Ecco la serie “Albertaciu”, un Albert “babaciu”, che potrebbe essere un vero cult made in Torino, un’icona sociale. “Albertaciu”, moderno “homunculos” e frutto della straordinaria abilità della mano di Guaschino, declinato in versione Barbone, Vecchio Punk, Malato, Travet, Disoccupato. In versione scultorea il “babaciu” è posto in un packaging su sfondo nero dove troneggia la Mole e una luna gigante. La Torino noir! Un qualcosa di totemico e alieno. L’atmosfera sembra alleggerirsi, ma è solo un inganno iniziale: nelle fotografie di “Albertaciu”, ritratto davanti al porticato di una chiesa o in un parco cittadino o sul lettone di un ospedale aleggia sempre una malinconia urbana. Qui lo spazio gioca un ruolo rilevante: la piccolezza del pupazzo amplia le dimensioni degli ambienti in cui si trova, gli spazi sembrano prendere vita e diventare loro stessi un soggetto, un corpo, avere un’energia di profondità e di ipnotica totalità quasi a ricordare le famose piazze metafisiche di De Chirico. C’è una infra-realtà nelle opere di Guaschino e Albert che a ben vedere non è diversa da quella realtà dove noi viviamo. È un mondo del “fra”, un mondo intermedio, oscillante fra la dimensione falsamente rassicurante del quotidiano e gli stati visionari destinati ad aprire, dietro quello stesso quotidiano, uno sfondo insospettabile che ne sconvolge i segni e gli effimeri equilibri. Tutto ciò trova la sua massima espressione in “Tu Golem?”, gigantesco “homunculos” simbolo di una società pervasiva, con cui ognuno ha la possibilità metaforica di poterci giocare, plasmandolo e specchiandosi in quella specie di “volto-televisore”. “O sarà invece il Golem, la società, a plasmare noi e ad annullare in una progressiva dissolvenza le nostre identità definite?”, si chiede Guaschino. Qui l’arte concettuale va di pari passo con il risultato estetico. L’artista crede in una mimesi universale fra “le meccaniche naturali” e quelle create dall’uomo. Un percorso unitario anche all’interno dello spazio espositivo che è Wunderkammer o camera delle meraviglie molto particolare, dove l’arte contemporanea dialoga con due artisti di grande originalità di pensiero. “Non esiste nella realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti.”, diceva lo storico dell’arte Ernst Gombrich.

Michele Guaschino, scultore, nel 1990 fonda a Torino lo studio Mutazioni, il primo laboratorio sul territorio piemontese ad occuparsi di effetti speciali del trucco e scultura per il mondo dello spettacolo. Realizza riproduzioni anatomiche, progetti per l’arte contemporanea, passando per l’animatronica, sculture iperrealiste. Lavora con Luca Ronconi, Arturo Brachetti, Maurizio Cozza, con aziende come L’Oreal, Ferrero, Crodino, Bottega Veneta. Alessandro Albert, fotografo torinese, inizia il suo percorso artistico fin dall’adolescenza ed impara a fotografare da autodidatta. A diciassette anni incontra Paolo Verzone con il quale dà vita a progetti fotografici comuni. Nel 2001 vince, con Verzone, il terzo premio del World Press Photo Award. Collabora con aziende come Lavazza, Ferrari, Finmeccanica, ITT e Telecom. Insegna fotografia allo IED di Milano e Torino, alla scuola Holden oltre che alla Leika Akademie. Un “mundus mirabilis” si spalanca dall’incontro fra Guaschino e Albert, dove l’inverosimiglianza è presente e credibile. Ecco la serie “Albertaciu”, un Albert “babaciu”, che potrebbe essere un vero cult made in Torino, un’icona sociale. “Albertaciu”, moderno “homunculos” e frutto della straordinaria abilità della mano di Guaschino, declinato in versione Barbone, Vecchio Punk, Malato, Travet, Disoccupato. In versione scultorea il “babaciu” è posto in un packaging su sfondo nero dove troneggia la Mole e una luna gigante. La Torino noir! Un qualcosa di totemico e alieno. L’atmosfera sembra alleggerirsi, ma è solo un inganno iniziale: nelle fotografie di “Albertaciu”, ritratto davanti al porticato di una chiesa o in un parco cittadino o sul lettone di un ospedale aleggia sempre una malinconia urbana. Qui lo spazio gioca un ruolo rilevante: la piccolezza del pupazzo amplia le dimensioni degli ambienti in cui si trova, gli spazi sembrano prendere vita e diventare loro stessi un soggetto, un corpo, avere un’energia di profondità e di ipnotica totalità quasi a ricordare le famose piazze metafisiche di De Chirico. C’è una infra-realtà nelle opere di Guaschino e Albert che a ben vedere non è diversa da quella realtà dove noi viviamo. È un mondo del “fra”, un mondo intermedio, oscillante fra la dimensione falsamente rassicurante del quotidiano e gli stati visionari destinati ad aprire, dietro quello stesso quotidiano, uno sfondo insospettabile che ne sconvolge i segni e gli effimeri equilibri. Tutto ciò trova la sua massima espressione in “Tu Golem?”, gigantesco “homunculos” simbolo di una società pervasiva, con cui ognuno ha la possibilità metaforica di poterci giocare, plasmandolo e specchiandosi in quella specie di “volto-televisore”. “O sarà invece il Golem, la società, a plasmare noi e ad annullare in una progressiva dissolvenza le nostre identità definite?”, si chiede Guaschino. Qui l’arte concettuale va di pari passo con il risultato estetico. L’artista crede in una mimesi universale fra “le meccaniche naturali” e quelle create dall’uomo. Un percorso unitario anche all’interno dello spazio espositivo che è Wunderkammer o camera delle meraviglie molto particolare, dove l’arte contemporanea dialoga con due artisti di grande originalità di pensiero. “Non esiste nella realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti.”, diceva lo storico dell’arte Ernst Gombrich.

The exhibition Scivolare invisibile attraverso il mondo (Sliding Invisibly Through the World), curated by Francesco Lo Jacono, highlights the work of three female photographers: Giulia Bersani, Greta Burtini, and Era Enesi Vento, who share a diaristic, intimate, and biographical vision, immediately capturing the vulnerable pathos of emotions and the immediacy of moods. Their approach goes beyond merely capturing the subjects; it directly involves them in the image, interpreting it with a deeply sentimental perspective. Their works share a common stylistic influence in the work of Nan Goldin and, through the lens of these three artists, they form an exploration of her ongoing relevance. Each photographer, while following her own creative trajectory, revisits and renews Goldin’s legacy, highlighting how her visual language can still offer interpretative keys to understand the transformations of contemporary society. This legacy is reflected in the three artists, who explore personal and profound aspects of their own existence. Bersani, with her self-portraits of nudity, updates the reflection on the self-portrait and corporeality. By reiterating this practice over time, the artist creates a visual diary of her own body. Burtini, on the other hand, turns her gaze to the home and her native land, focusing on domestic environments that represent refuges of memory and identity. In her shots, the living space becomes a place of deep connection with one’s roots, where past and present intertwine, creating a sense of continuity and belonging. Enesi’s photographs, finally, capture small, chaotic communities of friends formed around shared emotional bonds. By telling these dynamics, the traditional concept of family is redefined, including relationships that go beyond blood ties to embrace chosen and constructed connections, in which intimacy and mutual support are essential. The plurality of subjects explored by the photographers is traversed by a strong personal component, where the artist’s own emotionality becomes central. The images are often captured without premeditation, favoring the informal immediacy of snapshots to preserve the visceral concreteness of living. The exhibition is shaped as a mosaic of fragments of lives that, through a direct and sometimes raw visual language, lead the viewer into a deep reflection on the social and psychological relationships that traverse visible and established structures such as the traditional family, imaginary structures produced by spaces of common solidarity, or the intimacy of one’s own body. Although not explicitly political, the poetics of these artists stands in antithetical relation to the hedonistic culture and the myth of self-realization so widespread in contemporary Western society, offering a silent critique. Through their sincere and sometimes painful representation of the human experience, Bersani, Burtini, and Enesi highlight a fragile, idealistic humanity with no clear boundaries. Their photography invites a return to the essential, to a vision of the human being as a subject who lives, loves, and suffers in a world often indifferent, which, in all its vulnerability and beauty, slides invisibly through the world, finding comfort in emotional bonds and the sharing of the human experience.

The exhibition Scivolare invisibile attraverso il mondo (Sliding Invisibly Through the World), curated by Francesco Lo Jacono, highlights the work of three female photographers: Giulia Bersani, Greta Burtini, and Era Enesi Vento, who share a diaristic, intimate, and biographical vision, immediately capturing the vulnerable pathos of emotions and the immediacy of moods. Their approach goes beyond merely capturing the subjects; it directly involves them in the image, interpreting it with a deeply sentimental perspective. Their works share a common stylistic influence in the work of Nan Goldin and, through the lens of these three artists, they form an exploration of her ongoing relevance. Each photographer, while following her own creative trajectory, revisits and renews Goldin’s legacy, highlighting how her visual language can still offer interpretative keys to understand the transformations of contemporary society. This legacy is reflected in the three artists, who explore personal and profound aspects of their own existence. Bersani, with her self-portraits of nudity, updates the reflection on the self-portrait and corporeality. By reiterating this practice over time, the artist creates a visual diary of her own body. Burtini, on the other hand, turns her gaze to the home and her native land, focusing on domestic environments that represent refuges of memory and identity. In her shots, the living space becomes a place of deep connection with one’s roots, where past and present intertwine, creating a sense of continuity and belonging. Enesi’s photographs, finally, capture small, chaotic communities of friends formed around shared emotional bonds. By telling these dynamics, the traditional concept of family is redefined, including relationships that go beyond blood ties to embrace chosen and constructed connections, in which intimacy and mutual support are essential. The plurality of subjects explored by the photographers is traversed by a strong personal component, where the artist’s own emotionality becomes central. The images are often captured without premeditation, favoring the informal immediacy of snapshots to preserve the visceral concreteness of living. The exhibition is shaped as a mosaic of fragments of lives that, through a direct and sometimes raw visual language, lead the viewer into a deep reflection on the social and psychological relationships that traverse visible and established structures such as the traditional family, imaginary structures produced by spaces of common solidarity, or the intimacy of one’s own body. Although not explicitly political, the poetics of these artists stands in antithetical relation to the hedonistic culture and the myth of self-realization so widespread in contemporary Western society, offering a silent critique. Through their sincere and sometimes painful representation of the human experience, Bersani, Burtini, and Enesi highlight a fragile, idealistic humanity with no clear boundaries. Their photography invites a return to the essential, to a vision of the human being as a subject who lives, loves, and suffers in a world often indifferent, which, in all its vulnerability and beauty, slides invisibly through the world, finding comfort in emotional bonds and the sharing of the human experience.

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